domenica 5 luglio 2015

Piccolo Spazio Pubblicitario

Ciao Amici!
E' tanto che non pubblico qua perché ho aperto un nuovo blog: https://lalgebradelbisogno.wordpress.com/
Questo blog non parla proprio di me ma è un tentativo letterario di raccontare il dramma della dipendenza e tutte le sue sfaccettature. Sono molto orgoglioso di quello che finora ho scritto e vi invito a seguirlo con la stessa dedizione con cui seguite questo.
Viaggio al termine della notte non finisce qui, diciamo che si prenderà una pausa, almeno finché non sentirò la volontà di scrivere qualcosa di personale e non droghereccio.
Vi ringrazio uno ad uno, escluso un paio di persone. Ciao!

lunedì 15 giugno 2015

"Ad Ogni Giorno Basti La Sua Pena"

La noia mi assale, mi stritola, mi sbrana e mi lascia attonito sul nulla cosmico che sono. Certe rare giornate sembrano imbevute di quella rara serendipità che rende tutto legato a sé, come qualcosa di divino, di magico, di unico... sembra che il caso si sia fatto magnanimo nel regalarti piccole perle stipate in 24 ore... il resto è solo noia, disperazione, pena, se vogliamo, e basta. Ed è questo quello che mi tocca vivere oggi.
Mi sento soffocare ed uccido decine di sigarette solo per sentirmi intrattenuto in qualcosa. Non ho niente di meglio da fare che fissare la parete. Eppure una volta ero pieno di ambizioni, idee, speranze... ora mi basta sbarcare la giornata per arrivare alla sera e mandarmi a letto senza troppi rimpianti. Mentre il tempo passa ed io affievolisco... sono già passati 5 anni dal 2010. 13 dal 2002... date senza senso che però mi fanno capire quanto tempo sia passato. Ed io che faccio ora? Cosa dànno sulla parete sinistra di camera mia? Ammazzerò un'altra sigaretta... poi si vedrà.
Ho iniziato a sputare mentre fumo. Dall'alto della mia finestra guardo lo schianto che il mio bolo salivoso subisce quando tocca il suolo. E' il migliore intrattenimento che posso permettermi di questi tempi.
Poi penso ai bei tempi, quando c'era il sole e mi drogavo ed avevo almeno un cazzo di scopo. Ora non ho più neanche quello... quant'è difficile essere persone rette.
L'unica cosa che mi riesce meglio è commiserarmi e rimpiangere quello che non ho più. E' un esercizio divertente, tiene sveglia la mente e ritarda il tempo che passa tra una sigaretta ed un'altra. Ormai mi sono rimaste solo quelle come dipendenza.
"Quando avrò tempo mi dedicherò a tutto quello che voglio realizzare!" dicevo quando gli impegni lavorativi mi portavano via gran parte del tempo. E il tempo, infatti, si è vendicato: "Fammi vedere cos'hai, allora, tira fuori tutte quelle brillanti idee che millantavi quando mi anelavi. Forza, fatti avanti e mostrami chi sei, cazzino minuscolo". 
E' un po' stronzo il tempo, gli piace ferire le persone sulle cose che sono a noi più suscettibili. 
Non ho tirato fuori niente, non ho alcuna speranza, mi lascio andare e giaccio pateticamente sul letto ciacciando il cellulare, sperando che qualche povero cristo si faccia vivo intrattenendomi su Whatsapp... che pena.
Non ho scampo finché starò con me stesso.

mercoledì 25 marzo 2015

Pulizie di primavera

Quando il passato ti ferisce in modo quasi esiziale è meglio rompere con lui senza fare troppe recriminazioni... anche solo per non continuare quel tafazziano rito di pena e rimpianti. 
Ieri ho rotto definitivamente con una persona che è stata una delle ragazze più importanti della mia vita, in un certo senso è stata lei a sancire l'accordo ma sono io che le ho fornito il La per farlo. Questa persona, il suo ricordo, è irto di spine acuminate che ogni volta che mi bussa in testa resto amareggiato e sanguinante. Mi mancherà tantissimo ma finché non sarò capace di gestire le emozioni in modo meno coinvolto e morboso è meglio per tutti così. Fino a qui sembra che lo stronzo sia solo io e, beh, nella mia versione non è così assoluta la colpa ma non è questo il momento di stare a dividere le colpe. Non starò tanto a parlare di lei o di quando eravamo noi, a dire il vero mi fa un male che non sono riuscito a provare con altri... basti sapere che, fino ad ora, questa è la fine di una coppia che ha avuto in sé una armonia tale da risultare deleteria alla lunga... l'empatia, le cose in comune, i cambiamenti vicendevoli che ci
hanno reso quel che siamo adesso, tutto, tutto adesso per me è chiuso in un ideale forziere di cui ho nascosto la chiave in un posto che non voglio ricordare. È tutto spazzato via, morto, arido, desolato, è terra bruciata che ci siamo fatti, in percentuali differenti, tra di noi. La sua vita senza di me è migliorata notevolmente, la mia è caduta nel baratro che, forse ingiustamente, ne faccio a lei una piccola parte di colpa.
Parlo direttamente a te, adesso, senza cercare di giustificarmi o fare passi indietro: non sopporto il fatto che dopo di me tu sia riuscita a trovare una dimensione più congeniale, più solida, più adatta alle tue doti ed alle tue capacità... non posso sopportare che qualcun altro ti prenda per mano e ti faccia vedere il mondo in una sua prospettiva come facevo io. Non posso solo pensare a quanto ti sia stato stretto sempre di più, con gli anni, col mio modo di vivete e di amare. Mi hai spezzato il cuore come non ha fatto mai nessun'altra, proprio tu, la persona a cui ho affidato i miei più reconditi segreti, paure, affetti e fiducia. Non era il Caso, evidentemente, non voglio rinfacciare niente, sto constatando quello che ho passato... l'autodistruzione ha sempre una scintilla che la scaturisce e tu, con la mia complicità, l'hai accesa ed in un certo qual modo hai messo una pezza alla meglio e te ne sei giustamente lavata le mani. Ora qui sono
ancora combattuto se darti una carezza o cercare di colpevolizzarti, lo so, ma tutto questo dovrebbe comunque farti capire alcune cose che io non ho il cuore di farti notare.
Adesso vattene per la tua strada, nel modo dignitoso e deciso che ti ho sempre invidiato, lasciami marcire nel dimenticatoio dei perdenti e degli stronzi, purtuttavia ho ancora qualche barlume di sobrietà che mi fa vedere le cose in modo meno partigiano. Ricordati solo che ti ho amata, che ti sono grato del tuo amore e della tua stima incondizionata. Mi spiace, non sarò mai tuo amico, non è questo quello che voglio da te, io, meschino e vigliacco ti ricordo una cosa: è l'invidia che muove il mondo... e, per me, tale sentimento è come la forfora: puoi lavarlo via quanto vuoi ma riuscirà lo stesso a rifiorirti sempre in testa.
Abbi una buona vita, lontano da me, senza di me... almeno tu, che in qualche modo ci riesci.

Addio Mimmì. 

lunedì 23 marzo 2015

Colei Che Protegge

Pur essendo totalmente ateo, privo insomma di quello slancio spirituale che mi porta, purtroppo, a non credere neanche all'esistenza dell'anima, resto comunque affascinato dalle casualità che la vita riesce ad incastrare tra loro creando così un senso di compiutezza meno desolante di quel che effettivamente è... ad esempio il mio nome è lo stesso di quel famoso santo che parlava agli animali mentre il nome del mio amico più caro è quello del santo fedele discepolo del poverello di Assisi... anche quando sono stato due volte con delle Chiara, come la santa innamorata platonicamente del mio omonimo, ci trovai delle simpatiche coincidenze.
Le persone non le impariamo mai a conoscerle fino in fondo, talvolta nemmeno fino alla superficie... per molteplici motivi che vanno dal disinteresse alla chiusura di chi ci sta davanti. Il più delle volte non ce la facciamo manco a comprendere l'altra persona anche se ce la ritroviamo davanti ogni cazzo di giorno, questo perché ognuno di noi conoscerà soltanto l'idea che ci facciamo del nostro conoscente... non riusciamo o non vogliamo scavare a fondo per vari motivi che è inutile elencare. Ognuno di noi, quindi, vive il proprio film e si crea i suoi deuteragonisti come meglio gli confà. Tutto questo discorso mi serve per non sentirmi in difetto nei confronti di amici di vecchia data quando si tratta di volere conoscere una nuova persona.
Cosa vuol dire, poi, "io ti conosco"? È quel che abbiamo sotto gli occhi? È la possibilità di riconoscere un individuo in mezzo ad altre cento persone? È il sorriso abbozzato quando ci incontriamo con il conoscente? Non lo so, per me ci sono molti livelli di conoscenza ed altrettanti di importanza verso quella persona. È una commistione di empatia, emozione, piacere di averla accanto e volontà di scoprire qualsiasi cosa che lei abbia la volontà di mostrarmi. Quando voglio cercare di conoscere una persona è perché con lei ho uno stimolo che sta tra la mera curiosità e la delicatezza del confronto... se cerco qualcuno è perché in questo soggetto vedo delle potenzialità tali che possono aumentare in me il piacere di stare al mondo. Sembra piuttosto ambiziosa il mio concetto fi conoscenza e forse sarà questo il motivo per cui non ho voluto avere troppe amicizie. Io, eufemisticamente parlando, le annuso, prima, le persone che mi attraggono o
attiro e poi, forse, dopo, cerco di avvicinarmici o meno. Se poi il soggetto passa questa sorta di test propedeutico ecco che mi fiondo a corpo morto fin dove il mio nuovo amico avrà volontà di portarmi. Passo a setaccio ogni parola, ogni gesto, ogni messaggio, come un cane da fiuto, e lo memorizzo con dovizia... sembra una faticaccia mentre in realtà è qualcosa che mi piace e soprattutto mi viene naturale. Per quanto ne disprezzi la razza, l'essere umano mi attrae e mi diverte: ogni persona ha un trascorso, una vita, delle passioni e dei sentimenti sempre vari che servono a costruire, dentro di me, la loro persona nel modo più oggettivo possibile.
È successo che ultimamente mi sia invaghito di brutto di una ragazza che, inedita tra le tante, suscita in me una forte curiosità attrattiva. Ho fatto tesoro di tutto ciò che mi ha detto, di ogni suo piccolo gesto, sguardo, espressione e qualsiasi altra cosa che la riguarda. Vorrei sapere tutto di lei, chi è, cosa desidera, cosa sogna...il suo passato, i suoi errori, le sue vittorie, le sconfitte, le opinioni, le passioni. Vorrei guardarla ed ascoltarla, in religioso silenzio, mentre mi parla di lei... conoscere i suoi pensieri senza nulla dire, contemplando la meravigliosa architettura della sua persona in totale attenzione ecco, quello, io, lo chiamerei miracolo. Sebbene il mio cuore palpita quando sono con lei o quando mi scrive, io, davvero, provo un senso di completo agio con lei... dove non esiste biasimo non esiste torto e dove non c'è torto c'è solo armonia, questo sei: Musica! La melodia più iridata e splendente che io abbia mai
percepito. 
Questo folletto ha una grazia che non ho mai trovato in altre persone, ha una dolcezza così genuina e pura che mi disarma, mi lascia allibito tanto che devo ricorrere ai ripari per non farmi sopraffare da essa. Lei non è una persona qualsiasi, una di quelle che distrattamente vedi ogni santo giorno e facilmente dimentichi all'istante, no!, i suoi occhi raccontano di un vissuto e di una intelligenza che mi logora davvero non poterla meglio approfondire. Non è solo bella, è pure una bella persona e - checché se ne dica - il valore in potenza lo si nota dal primo approccio e lei, seriamente, ne ha da vendere. Sembra un oggetto prezioso, delicato, quasi intoccabile senza però trasparire sicumera o alterigia... il suo sorriso nasconde una malinconia velata che solo un osservatore attento riuscirebbe a decifrare. Si percepisce che è una mamma, palesemente, per il suo modo delicato di porsi, benevolmente... non a caso il suo nome significa "colei che
protegge" perché riesce a trasmettere un senso assoluto di sicurezza, agio, che rende, anche questa, un'altra piacevole coincidenza del divino labirinto delle cause e degli effetti. Tra le sue braccia, ne sono certo, ci puoi sentire tutta quella protezione che il suo nome emana, ti farebbe sentire come a casa, sereno, lieto di trovarti nel posto in cui sei. A volte un suo messaggio, una sua parola detta nel modo giusto, riescono quasi a prenderti per mano placando il tremore che l'imbarazzo e l'inadeguatezza riescono a suscitare... fai un respiro profondo, pensi a lei ed ecco che tutto quanto appare meno squallido del solito: improvvisamente ti senti più sicuro di te stesso e più ottimista nei confronti di quella umanità brutta e misera che ti circonda. Ti chiedi mille volte come fa, come ci riesce, qual è il suo meccanismo interno che riesce a scaturire sto senso di protezione che emana, così, senza affettazione, in totale naturalezza. 
La bellezza si nasconde in modo magistrale in questo mondo, quasi fosse un qualcosa di vergognoso, e scovare e comprenderne la sua valenza dà un risultato che va ben oltre all'emozione che la mia penna potrà mai descrivere. Io lo posso dire di averla scorta questa Bellezza, anche se non mi appartiene io adesso mi sento migliore solo perché l'ho conosciuta. 

Potete voi forse dire lo stesso? 

domenica 22 marzo 2015

Ricordi Rincontri E Rimpianti

È facile rincontrare una vecchia conoscenza, difficile è invece tutto ciò che ne segue. Non solo nei suoi confronti ma anche quando, dopo, ti ritrovi a fare i conti con te stesso. Si sa, l'aspettativa è come una bolla di sapone: più si gonfia più è facile che esploda e si tramuti in nulla più che aria, ed io mentre camminavo a passo svelto nel luogo che ci eravamo dati come appuntamento mi facevo mille domande, mille timori... cosa avrei potuto dire, come avresti reagito, come sarebbe andata, quanto fossi cambiata, quanto io sarei apparso diverso. Poi eccoti là, seduta, con la testa china sul cellulare... traspiravi ansia da un chilometro, lo so perché pure io esalavo tale sostanza ma ho dissimulato leggermente meglio. Una battuta, l'incrocio dei nostri sguardi e dopo tutto questo è rimasto solo un dolce senso di tranquillità assoluta... sembrava che il tempo non fosse passato, come se un lungo periodo di oblio sia intercorso tra noi dai
tempi in cui ci trovavamo dietro alla stazione... siamo solo un po' più vecchi, più amareggiati o più saggi, ma siamo rimasti comunque "noi due". Non è stato così anche per te? Quanto tempo è passato da che non ci vedevamo intenzionalmente? Quasi dieci anni o poco meno. Il corpo umano, a cambiare totalmente, ci impiega circa sette anni ed ogni cellula del tuo corpo non è più la stessa, a parte i connotati esterni sei un'altra persona e noi, io e te, eravamo davvero altre persone ed adesso siamo diversi... eppure mi sembrava ieri che passavamo le serate sulle gradinate della scuola C      , o sul tetto del T      o ai giardini M   ; improvvisamente mi sono ricordato quanto mi piaceva stare del tempo con te, a discutere, scherzare, completarci... eravamo dei ventenni giovedì scorso alla pizzoteca o fuori al bar, eravamo di nuovo ingenui, teneri e puri quanto la natura umana può esserlo. Mi ero davvero dimenticato di te come persona, non
riprovavo quel vecchio piacere che tempo addietro mi davi. Non c'era bisogno di tanti giri di parole, mi sembrava che mi intendessi così come ci intendevamo tra noi, come una coppia di stronzetti presuntuosi che prendevano in giro gli altri, troppo inferiori a noi due. 
E insomma adesso sei sposata, sei mamma! Non riesco davvero a realizzare... come i genitori che vedono negli occhi dei loro figli ormai adulti i bambini che erano tu rimani una ragazzina, insicura, impacciata, innamorata. Non riesco davvero a vederti diversa nonostante gli anni. Anche se le esperienze hanno ridotto i nostri entusiasmi non sei cambiata di una virgola, tanto che prima di salutarti ti avrei dato un bacio, così, sulla fronte. Quanta dolce amarezza ho provato mentre più lentamente me ne ritornavo a casa...
Ho pensato al "se fosse", ho pensato ai meccanismi curiosi del caso e quanto facile sia talvolta lasciarsi fregare dai rimpianti... chissà come sarebbe andata se... chissà se io sarei diventato il patetico tossico depresso che sono... chissà perché, poi, è dovuta finire, non ricordo manco il motivo. Poi ho avuto un moto di lieta gratitudine che adesso ostento orgoglioso: grazie di non avermi lasciato del tutto, grazie di essermi stata vicino nel limite dei tuoi vincoli e grazie di avermi ricordato qualcuno dei molti motivi per cui ti ho amato.
Giovedì potrebbe essere il nostro nuovo martedì, con le debite proporzioni... per il resto ci penserà il tempo, il metro di misura dei rimpianti. 

sabato 21 marzo 2015

,

Primavera


La primavera è la stagione che meno preferisco... Per noi depressi che agognamo la fine, vedere nascere la stagione degli inizi, è davvero un brutto colpo. È come se Madre Natura ci prendesse a calci nelle palle per farci accorgere di cosa ci sta accadendo attorno: tutto molto bello se non fosse per quel dolore lancinante alle gonadi.

La Primavera, come ogni anno, è sempre lì, dietro l'angolo, pronta a ricordarmi il limite della mia mediocrità: è la stagione degli alberi in fiore, delle giornate che si allungano, dell'impollinazione e dello sbocciare delle piante, dei mille profumi... mentre io, invece, mi trascino faticosamente il mio orribile corpo con la morte nel cuore. È dura pensare ad un nuovo, ennesimo, inizio quando si agogna non essere... chiedo scusa per il mio patetismo ma sta maledettissima stagione mi deprime e mi scoraggia. Incredibilmente divento più negativo del solito, i pensieri di morte si fanno più presenti e devo pure cambiare il guardaroba!
Mi tornano in mente, in questo periodo, i ricordi di quando ero bambino, di quando ero sereno, di quando ero, in un certo qual modo, sano. Sono gli odori a fottermi, accidenti a Proust, al tempo perduto ed alle mezze stagioni... mi viene in mente quando aprivo le finestre, nel momento del tramonto, ed un brivido di gioia mi attraversava il corpo: la scuola stava finendo e la Primavera era il dolce preambolo dell'estate.
Niente mina di più l'autostima delle aspettative non mantenute... tutto quel senso di onnipotenza che sentivo quando avevo tutta la vita davanti si infrange prepotentemente contro la nullità patetica che sono diventato... quando viene a mancare l'entusiasmo, quando realizzi concretamente ciò che hai innanzi, ecco, quello è il momento in cui crollo, in cui mi rassegno. E la rassegnazione è come l'herpes, una volta che ti ha toccato non ti abbandona. 
Sono vittima della mia malinconia e la Primavera è qua, maledetta, a ricordarmelo senza pietà, senza un briciolo di delicatezza.
Nonostante i sensi di colpa, l'istinto di sopravvivenza e la sdrucciola curiosità del futuro, quando ti convinci di voler morire, in testa hai solo ed esclusivamente le motivazioni per cui vuoi farti fuori... ti ci senti quasi costretto ad ucciderti, così come ti senti - quasi in trance - di continuare ad andare a fare quello schifo di lavoro ogni misero giorno della tua vita: rassegnato ed inconsapevole. Io però vorrei solo dormire, andare in letargo, per tutto il periodo stagionale che coincide con la naturale gioia delle altre persone... è incredibile come la felicità degli altri aiuti a farmi sentire più depresso e gramo. Vorrei sparire, fuggire da me stesso, dimenticare il mio nome... solo quello, magari anche una sola volta, così, per sapere che effetto fa.
Ho sempre cercato un aiuto non richiesto nelle mie ragazze, le ho torturate, ammorbate, affievolite con la mia totale mancanza di entusiasmo... io, vittima di me stesso, mietevo vittime che dicevano di amarmi per poi abbandonarmi per non venire, a loro volta, sopraffatte dalla mia ingombrante personalità. Che crudeltà, Bardamu, davvero non è da te... non è normale sperare che un'altra persona possa riuscire a salvarti da te stesso, è piuttosto triviale se permetti.
Ieri sera alle otto e mezzo ero già a letto, ho iniziato a lacrimare così, senza motivi apparenti, con in testa soltanto l'idea di togliermi di torno da questo squallido essere penoso e petulante. È tutto così grottesco quando si tratta di me, non riesco a non provare quella sorta di simpatica repulsione che si prova per tutti coloro che, alla lunga, continuano sempre a piangersi addosso. Non riuscirò a scampare da me stesso, devo soltanto aspettare il momento più idoneo in cui riuscirò ad abbassare la guardia e liberarmi di me... non posso dire di non aver cercato soluzioni ma il loro unico risultato è stato quello di aver ingigantito la parola FALLITO più di quanto riesca a tollerare. Ho paradossalmente più paura di vivete che di crepare anzi, a dire il vero, più che della morte ho paura di morire... che pena, che insulsaggini mi tocca scrivere, sono davvero fiero di me per quanto in basso sono riuscito a scendere.
In camera mia tengo ben nascosto un trincetto, nonostante non sia propenso ad usarlo la sua presenza mi rassicura... è la mia exit strategy. Non pensate male, non sono così patetico da venire a scrivere di velleità suicide per attirare compassione, è solo un oggetto, quieto, che se ne sta ben nascosto... è un amuleto, il mio portafortuna. E poi, a dire il vero, alla lunga una cosa l'ho capita cioè che in fondo, senza di me, la mia vita, sarebbe un vero e proprio mortorio. 

mercoledì 18 marzo 2015

Distrazione

La distrazione è il modo in cui il nostro cervello cerca di sopravvivere alla pesantezza dell'essere. Se non ci distraessimo mai sarebbe come affogare nel mare delle nostre miserie. Questo stato mentale mi ossessiona e mi affascina, è così involontario, normale ed umano distrarsi che lo facciamo sempre, costantemente, nel corso della vita... Prendiamo i bambini... Qual è il primo ricordo che vi viene in mente da quando avete memoria? Non credo sia facile ricordarlo, forse perché da piccoli, noi, siamo così distratti e superficiali proprio per non subire lo shock di essere al mondo. 
Vorrei essere anch'io così, distratto e superficiale... anche perche ho sempre guardato a queste persone con una certa invidia, per loro tutto è più semplice, più ovvio... è come se avessero capito, i superficiali, che sono i dettagli che rendono tutte le cose più complicate, che spesso le rovinano, dai paesaggi ai delitti perfetti. Beate creature, loro: sono i miopi della terra. 


Quando la dottoressa mi cambiò terapia, dallo Zoloft al Cymbalta, usò proprio queste parole: "ti sentirai più distratto". Cosa infatti che aveva paura potesse influire sulla mia capacità di concentrazione durante il corso. A dire il vero, dopo due mesi che sto assumendo questo farmaco, mi sento di dire che ok, sono più leggero, più superficiale in un certo senso, ma quello stato beato che ho avuto modo di vedere nelle persone davvero distratte, io, non sono riuscito a raggiungerlo... gli occhi spenti, la bocca leggermente aperta e la mente vuota... nessun pensiero, nessuna pena, nessun imbarazzo, niente! Quello sì, per me, che è vita. A me non riesce, proprio non ce la faccio, il mio cervello deve elaborare sempre, dannarsi e dannarmi con le sue vane elucubrazioni... a me mi fregano i ricordi, che tra tutte le torture che ci infliggiamo quella è forse la più inutile e gratuita.

martedì 17 marzo 2015

, ,

Piccola Guida Di Sopravvivenza A Sé Stessi - Capitolo III



In ospedale vige la gerontocrazia, lo capisci subito, non ci vuole molto a scoprirlo... ti svegli presto, i pasti sono a mezzogiorno e alle diciotto e poi, dopo, rimani per il resto del tempo a vegetare che alle nove di sera ti sembra di esser sveglio da chissà quanto tempo finendo per infilarti a letto, stanco e annoiato. Io dovrei trovarmi qua dentro per guarire da me stesso ma, quando non si ha scopi, nella vita, diventa davvero stupido vivere... tirare a campare il più a lungo possibile, cercando di preservare al meglio il proprio corpo e come veniamo ricompensati? Con la vecchiaia! Insomma maggiore è il desiderio di restare a questo mondo e maggiore sarà il prezzo che dovrai pagare: la decadenza fisica, il rallentamento della propria mobilità, gli impedimenti dovuti alla senilità, l'inesorabile perdita graduale della memoria e della dignità... non ha senso! Che poi, i vecchi, sono di molto simili ai tossici di lungo corso, si rassomigliano tutti tra loro! Hanno la pelle grigia e grinzosa, la dentatura sporadica e gli tocca trascinarsi seco quel fardello ambulante che è il proprio corpo fino alla fine dei loro giorni. I vecchi non si fanno di sostanze, loro si fanno di vita, quella stessa vita che li ha ridotti come sono adesso. Ma, invece di vicoli poco frequentati, loro, li ritroverai ritti e immobili come statue a fissare i cantieri.
Una rubiconda infermiera panzona ci avvertì che era pronto il vitto. "Tutti a tavola!" tuonò graziosamente dal corridoio mentre ci avvicinava il portavassoi. Noi, come un'orda di morti viventi, ci appropinquammo tutti, lentamente, nella sala da pranzo. Ogni vassoio portava il nome del paziente, l'infermiera chiamava uno ad uno e poi ci consegnava la nostra razione di pane quotidiano. Alla fine eravamo in cinque, i pazienti, pronti a nutrirci.
Mangiare per me è sempre stata una perdita di tempo. Difficilmente mangio quando sono solo e l'idea di metterci di più a cucinare che a consumare il cibo mi fa passare ogni voglia di mettermi dietro i fornelli, ignorando i morsi della fame. Una delle cose più agghiaccianti, poi, sono i pranzi o le cene in compagnia: un assembramento di persone riunite ad un tavolo, tutte ben vestite e contente di essere dove si trovano, che parlano e ridono e schiamazzano, mentre le loro fauci masticano, inghiottiscono, bevono, trangugiano, biascicano, deglutiscono, sputacchiano e ruttano. Uno spettacolo, ai miei occhi, più stomachevole e rivoltante della defecazione.
Tentando di nascondere il mio disgusto dovuto alla visione ed all'ascolto di tutte quelle bocche masticanti guardavo un po' cosa la sorte mi aveva riservato con i miei nuovi compagni di malessere. Agostino lo conoscevo, poi c'era Mauro, un uomo anziano, fiero nella sua senilità, con gli occhi di ghiaccio ed una smorfia simile a quella che stavo tentando di nascondere... accanto a lui c'era una signora sulla cinquantina, Patrizia, una superstite di un esaurimento nervoso, glielo leggevi in faccia, quel broncio, tra il penoso e l'insoddisfatto, con gli occhi tristi e la schiena curvata verso il basso. L'ultima era Lorena un'ultra sessantenne con un certo gusto nel vestire, i modi garbati, lenta arrabbiata nel mangiare e con un visibilissimo tic nervoso alla mandibola. 
Avevo una gran voglia di fare battute sfolgoranti per riuscire a catalizzare l'attenzione su di me, per bandire la devastante noia che impermeava l'aria del reparto. Purtroppo l'unica cosa che riuscii a dire, senza neanche alzare gli occhi dal mio piatto di brodino sciapo, fu solo un tremolante "Buon appetito a tutti".
A volte, quando la vertigine sale, l'essere umano mi spaventa e mi ripuga. Non per la sua innata nonché palese bestialità, mi spaventa per come appare ai miei occhi. Mi dimentico per un lungo istante di appartenere alla stessa sua schiatta e mi sembra di vederlo, realizzarlo, per la prima volta nella sua integra bruttezza. Questa creatura pallida, liscia, munita di vive protuberanze semoventi con, nella parte superiore del corpo, una peluria circoscritta a quella zona, una piccola proboscide al centro, due palline che si muovono velocemente ed una fessura che si apre e si chiude, che emette dei rumori piatti mentre lì, dentro, all'interno, si nasconde un qualcosa di viscido che si agita senza requie a seconda dei suoni che, da quella fessura, escono. Ecco cosa mi succede e cosa mi stava accadendo adesso. Dura solo un attimo, quando la vertigine sale, e, insieme allo strodimento ed un vago senso di nausea, mi sento le farfalle nello stomaco e nella testa e chiunque mi stia vicino, ecco, mi appare alieno e spaventoso.
Così mi alzai di scatto, impaurito, rabbrividendo, e me ne andai in camera da solo, senza dir niente a nessuno, ignorando le cortesi domande di Agostino.
Poco dopo, ai piedi del mio letto, mi si parò davanti Mauro. Mi fissò e mi studiò a lungo, come se fosse un dottore, coi suoi occhi di ghiaccio oscuro. Aspettò che mi tirassi su e lo guardassi in faccia.
"Ho capito, prima, cosa ti è preso... non puoi farci niente", disse dopo una lunga pausa. 
"L'apatia è un dono concesso a pochi, è la qualità del non essere e del non agire, proprio come se si fosse completamente realizzata la mostruosità della natura umana. E' come essere obbiettori di coscienza, con la coscienza di ciò che è l'uomo nel suo intero."
Senza chiedermi il nome e senza aspettare da me una replica, quel vecchio dinoccolato, se ne andò.
Io, sentendomi capito, per una volta, capito davvero, senza dover spiegare con voli pindarici niente a nessuno, capito e basta, chiusi gli occhi. 
Il mio entusiasmo era arrivato ad un punto talmente morto che, da giorni, l'unico piacere, oltre gli speed-ball, concessomi era quel momento di veglia pesante, quello che senti poco prima di cadere addormentato. Mi era rimasto solo il sonno adesso, qua all'ospedale. L'unica fonte di piacere che potevo provare era quella di non essere, di dimenticarmi di me stesso giusto per qualche ora.
Dormii per tutto quel pomeriggio fino alle cinque che, sorpresa sorpresa, dal SerT  mi avevano fatto recapitare un bel 4 ml di Metadone concentrato: una vera e propria soddisfazione per uno che stava lentamente entrando in calo. Bevvi e brindai dentro di me al ''gusto pieno della vita'' e ricollassai fino a poco prima delle sei di sera, fin quando il buon Agostino, con la sua remissiva cortesia, mi svegliò perché pronto il vitto.
La cena fu meno traumatica del pranzo, il metadone si era fatto sentire ed io mi trovai più loquace del solito. Iniziai a conoscere un po' i miei colleghi di crisi. Mi sentivo brillante e credevo di infilare, in ogni frase, qualche citazione o nome altisonante della letteratura novecentesca, la mia preferita.
Patrizia, più di Lorena, era rimasta colpita dalla mia verve e dal mio sarcasmo macabro poiché rideva ad ogni mia cinica sentenza. 
"La vita, disse una volta Schopenhauer, è come un pendolo, lui la vedeva così, che oscilla tra il dolore e la noia... e quelli erano i lati positivi!" dissi riciclando una battuta che avevo usato qualche tempo addietro.
Patrizia si mise a ridere, sommessa ma non affettata. Questo giovò alla mia autostima e rivendicò la dignità di una battuta che, al suo esordio, fu incompresa a causa del pessimo pubblico che avevo davanti.
Finita la cena venni a sapere che l'ultima stanza in fondo al reparto era stata adibita a Sala Fumatori. Almeno quella dipendenza, mi dissi rallegrato di un paio di grammi, posso continuare ad esperirla. Venne anche Lorena e chiese se poteva venire a fumarsi una sigaretta, se non disturbava... io dissi che no, affatto, anzi! Mentre poi, in realtà, lasciai la vecchia nevrotica a farsi fottere, per conto proprio, nella sala fumatori, biascicando il nulla grazie al suo continuo tic nervoso. 
Tornai in camera piuttosto soddisfatto che scocciato, Agostino era sempre disteso sopra le coperte a fissare il muro dalla mia parte.
"Ecco il nostro Bardamu", mi accolse monotono.
Mi misi a dormire. Erano le otto di sera e, così, gloriosamente, finiva il mio primo intero giorno da internato in psichiatria e, altrettanto, finiva il mio primo intero giorno da tossico in via di riabilitazione, finiva nel sonno di nuovo, nell'oblio e negli intrattenimenti bizzarri ed immemori del subconscio.

lunedì 16 marzo 2015

Merda!



[un vecchio post che ripropongo con immutato orgoglio]

Ecco dunque cosa accadde.
Succede, quando prendi gli oppiacei (la roba, o il metadone, o tutte e due insieme), che il fegato si addormenta e non se la sogna nemmeno di fare un passo... così ti ritrovi ignaro e carico di merda finché il bello addormentato non si risveglia... senti che qualcosa bussa alla tua porta sul retro.
Insomma è accaduto questo. Ero sulla tazza che sapevo che l'avrei combinata grossa, uno che come me ha una media di due cacate al giorno è ovvio che se uno perde una giornata si trova poi a doverne pagare i debiti... nulla di così drammatico se non fosse per quel principio d'emorroidi che da qualche anno affligge il mio culetto magrolino.
Così, sulla tazza, sapevo già cosa sarebbe fuoriuscito da me. Lo so dai crampi allo stomaco che non sono forti ma belli profondi... ormai mi conosco così bene che dal tipo di crampo so riconoscere il tipo di merda (voi ne siete capaci?). Mentre cercavo di far finta di niente ché, ho imparato,  il mio culino è un tipo riservato in queste situazioni, io leggo e mi isolo cosicché lui possa fare il suo lavoro. Con i Peanuts in mano sento che scende prepotentemente... eccolo, eccolo! E un lieve tremito che parte dall'osso sacro percorrendo tutta la spina dorsale, fino alla cervicale, mi galvanizza per un paio di secondi fino al piacevolissimo suono, come il cha-ching! per i fanatici di slot-machines, che mi notifica la fuori uscita della merda (PLOF!).
Rimango ancora un po' lì a godermi la fatica, ad ansimare qualche secondo e sentirmi il buchetto dilatato cercando di immaginare se è così anche in altre situazioni. Poi mi pulisco e - gioia, gaudio e tripudio - la carta è bianca: lo stronzo era così compatto ed unto che non ha lasciato nessuna appendice di sé durante la sua espulsione. Poi mi alzo, come una madre col figlio, voglio vedere cos'è uscito da mio corpo e lo vedo. Vedo un caccone bello grosso, di un diametro e di una lunghezza che potrebbero ricordare le forme peniali dell'amico congolese di vs. madre (con risp. parl., stronz.). Bello lucente, rorido e maestoso, se ne stava lì a giacere - mezzo fuori, mezzo dentro - sull'acqua del gabinetto, come un boss se ne sta sul bordo piscina a godersela. Era davvero huge, e mi dava da pensare: se questo piacere evacuativo è simile a quello penetrativo, quasi quasi mi faccio frocio. Guarda lì che pezzo di minchia nera il mio culino potrebbe ospitare! E quello sarebbe un pezzo raro, eh. Figurati con un pisello di medie dimensioni.
Ma poi lasciai cadere il pensiero mentre tiravo lo sciacquone e salutavo il mio caccone che a fatica soccombeva alla forza dell'acqua corrente.
Ecco dunque cos'è accaduto, amici! Il miracolo della Merda. Che è come partorire, ma il caccone che fai non lo devi covare nove mesi, non ti dà nausee nè tantomeno vieni preso d'assalto da assistenti sociali se decidi di chiamarlo "stronzo".
La merda è una faccenda prettamente maschile, ci pensavo poc'anzi. Perché è il nostro modo di partorire e nel nostro piccolo, anche noi, ci sentiamo comunque fautori di qualcosa che è uscito da noi. Il nostro orgoglio, la nostra gioia, la nostra vita! E' forse questo il motivo per cui siamo tanto fissati con la merda. Come Elia che è già la seconda volta che mi mostra una foto scattata col cellulare di un suo super-stronzo; come Benigni che ne canta le gioie nel suo Inno Del Corpo Sciolto; come Gulliver che nei viaggi incontra uno scienziato che vuol trarre nutrimento dalla merda; come a Ginevra - come ci fa sapere South Park - che c'è una scuola che misura la merda in Kurix e Bono Vox detiene il record di stronzo più grande del mondo; come Gargantua che appena a cinque anni ha già composto un rondò e fa una prosopopea sulla merda*; e come già il Sommo Dante ci rimeggiava all'Inferno, incontrando Alessio Antelminelli da Lucca col capo sì di merda lordo; come Francois Ubu che, nel suo famoso intercalare, la storpia in Merdra; come Mozart che la mangiava e cacava della musica meravigliosamente unica; come Piero Manzoni che la racchiuse in barattoli e ci fece notare che la sua merda era diversa perché d'artista; come gli Skiantos che hanno per l'appunto fatto un pezzo che si chiama Merda d'Artista, dove l'arte si contrappone alla merda, perdendo, perché "la merda è solida e l'arte è metaforica"; difatti per questa peculiarità proprio De André ci ricorda che "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior"; così come Sigmund Freud, per certi versi, si stupisce del fatto che adesso aborriamo la merda e con ella apostrofiamo le persone per offenderle, mentre primordialmente la popò era la ciò che animalescamente ci aiutava a conoscerci, come ci ricorda ne Il Disiagio Della Società; giacchè pure Céline non la trovava più disgustosa di altro, ricordandoci che è più complicato e penoso della defecazione il nostro sforzo meccanico di conversare così il suo "allievo" Bukowski trovava di ordinaria follia il fatto di dover parlare delle emorroidi e dei patemi durante le sue cacate.

Quindi, e mi rivolgo a chiunque scarichi il gabinetto senza un leggero senso di colpa, voi tutti che pensate che la merda sia qualcosa di fastidioso, di schifoso, di inutile...eccovi qua spiattellato quanta Arte è cosparsa di Merda (e quant'altro non ho nominato nella lista!), quanto la Vita sia imprerogabilmente collegata alla Merda, perché la merda è di tutti e non ha sesso e noi tutti dobbiamo renderci conto che è pura come l'Amore. Perché la merda - come gli spermatozoi - crea l'esistenza e la merda - come un figlio - cresce dentro di te per poi essere partorita.
Dunque ricordatevi, prima di pensare di chiamare qualcuno o associare bassa qualità con la merda, che, citando Artaud, "là dove si sente la merda, si sente l'essere"
Ed ora andatevene tutti a cacare.




* Cacando l'altro giorno ebbi a sentire

Quella gabella che al mio cul dovevo;
Ma l'odore non fu quel che credevo,
Ché dal puzzo credetti di morire.
Oh! se qualcun m'avesse in tal martire
Portata quella che sempre attendevo
Cacando!
Io certo avrei saputo a lei coprire
Il suo buco davanti, come devo.
E lei col suo ditino, in gran sollievo,
Il mio buco di dietro garantire,
Cacando.
(F.Rabelais, Gargantua e Pantagruele, Lib.I, cap. XIII)

domenica 15 marzo 2015

Piselli



A me gli orinatoi a muro, quelli che si trovano nei bagni pubblici, personalmente, hanno sempre inibito. Si possono contare sulle dita di una mano le volte in cui, straziato dal bisogno, ho scelto di farla su quei diabolici aggeggi invece di chiudermi dietro la porta nel più sicuro bagno privato. E' un imbarazzo che non so razionalizzare... non so dire se è un mio strano complesso emotivo o la cinica distanza ravvicinata tra un pisciatoio e l'altro, la totale assenza di privacy per il proprio pisello ma, anche se non c'è anima viva nei paraggi finisco per prediligere comunque il gabinetto a cabina.
Probabilmente è uno dei mie mille e più sintomi d'insicurezza ma, devo dire, che sin da piccolo ho avuto costantemente ritrosia per quei pezzi di porcellana bianca. Per questo motivo non ho mai fatto la doccia insieme agli altri ai tempi in cui facevo sport, né ho partecipato a seghe di gruppo durante l'adolescenza... ma, va detto, che una volta sola ho mostrato il mio pisello ad un altro maschio, escluso il dottore.
Fu una notte di più di dieci anni fa, mi trovavo a casa di David, un mio carissimo amico, e me ne ero da poco tornato da una serata insieme alla mia ragazza di allora. Il mio ospite è un grande amante del vino e delle canne e, allora, ci dava sotto davvero alla grande con quelle sostanze. Anch'io ammetto di non essere stato del tutto lucido ma ero piuttosto contenuto rispetto al mio amico. 
Lui, devo premettere, è un pansessuale: una persona che non si fa problemi se c'è la possibilità di provare piacere... maschi, femmine, cani... non importa, basta che facciano godere. Già da adolescente mi raccontava di essersi fatto ripassare i genitali dalla lingua rasposa del suo cane. Un'altra volta, tornando da casa della sua ragazza (perché, oltretutto, ha una ragazza), si fermò in un'area di sosta per non cadere vittima del colpo di sonno: bene! Si avvicinò un camionista che gli offriva 20 Euro per fargli un pompino. "Abbi pazienza, rispose David, sto tornando da casa della mia ragazza e sono già venuto due volte... sennò volentieri". Beh, risposi io quando mi raccontò la scena, sarà per la prossima volta!
Comunque era estate, eravamo ubriachi e fumati e lui iniziò a farmi delle avances, non proprio come se fossi una ragazza ma più dirette e meno formali: "Dài... facciamoci una sega a vicenda! Io e te, stasera... solo una volta!"
Mavvaffanculo gli dissi ridendo nervoso. Conosco così bene quel ragazzo che so che quando vuole una cosa ti convince sempre. E' caparbio, insistente e sicuro di sé, proprio il mio esatto contrario.
Ovviamente io non volevo farlo e cercavo di sminuire il suo intento di maneggiare il mio pisello con umorismo e risposte secche.
"Senti, disse lui, abbiamo tutti e due la ragazza... in più tu sei sicuro di essere eterosessuale, no?"
Annuii.
"Quindi qual è il problema? Proviamo, via, che se devo farlo con qualcuno voglio farlo con te!"
"Ma perché devi farlo, che cazzo!?!" chiesi io sempre più scorato dell'inesorabile situazione che si sarebbe presentata.
Lui aveva annusato il mio cedimento, era solo questione di dettagli: da lì non sarei potuto andare perché non avevo la patente ancora, lui invece non aveva alcuna intenzione di lasciarmi in pace finché non ci saremmo scambiati la mano per massaggiarci il pisello. "Tanto, senti, saremo al buio... buio pesto... e poi ci mettiamo pure il preservativo, così siamo apposto."
Devo dire che io sono sempre stato dell'idea che per giudicare una cosa bisogna comunque provarla... avere la prova empirica di non essere omosessuale poteva essere il motivo per cedere alle lusinghe di David che, nonostante tutto, mi corteggiò, a suo modo.
Quando poi fu tutto pronto, al buio, incappucciati, vicini ma non a contatto, successe che mi trovai nella mano destra una bestia enorme che mi spaventò... sia me che la mia protuberanza... sancendo così la resa, da parte del mio pisello, ad una qualsivoglia volontà di tenere alta la testa... in poche parole mi si ammosciò, tra lo sconforto, l'invidia ed anche una certa latenza di eccitazione... si rintanò tra i ricci dei peli pubici e lì rimase.
Da quel giorno in poi, il mio pisello, più l'ho mostrato né agli amici, né tantomeno agli sconosciuti... alle femmine sì ovviamente: cosa volete che ne sappiano, loro, di piselli?
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...